Assicurazioni vita: basta clausole vessatorie

Scritto da Valentina Oberti il

La perdita di un caro parente è un momento sempre difficile da vivere: oltre al dolore, ci sono mille incombenze burocratiche da svolgere ed a queste si potrebbe aggiungere la denuncia di morte alla compagnia assicurativa per la riscossione della polizza vita che, in diversi casi, potrebbe più sembrare una corsa a ostacoli che la richiesta di liquidazione di una somma a cui abbiamo diritto.

A questo proposito si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 17024/2015, depositata nei giorni scorsi, in cui ha messo al bando le clausole vessatorie sui contratti di assicurazione per la vita. La Corte suprema, nello specifico, ha individuato sette condizioni che le Compagnie non possono apporre nei contratti: ciascuna condizione rappresenta già di per se’ un bel fardello da sostenere e tutte insieme sono, nelle parole della Corte, un “cocktail giugulatorio ed opprimente per il beneficiario”.

La prima clausola messa all’indice è la predisposizione di un modulo che i beneficiari devono compilare per ottenere l’indennizzo: è contro il principio sulla libera forma nelle obbligazioni; sarebbe lesiva, inoltre, della libertà di movimento la condizione di rivolgersi all’agenzia di competenza.

Inoltre, la Compagnia non può richiedere una relazione medica relativa alla morte dell’assicurato (se la morte è avvenuta per una delle cause non coperte dall’assicurazione, è onere della Compagnia provarlo) e nemmeno le cartelle cliniche dei ricoveri del defunto.

Infine, è vessatorio richiedere copia originale del contratto di assicurazione nonché l’atto di successione (il pagamento dell’indennizzo assicurativo prescinde dall’esistenza o meno di un testamento): la Suprema Corte, insomma, mette al bando queste richieste che hanno il solo scopo di dilazionare i termini di pagamento senza nessuna effettiva utilità per la Compagnia.



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